Sono affascinato dalla fotografia. Tra i soggetti più attraenti? L’edilizia abbandonata: case, fabbriche, scuole, colonie e tutte quelle strutture che prima erano animate dalla presenza dell’uomo. Costruite dall’uomo, per l’uomo, fruite dallo stesso e poi restituite alla natura. Questi dinosauri hanno respirato per decenni storie di vita, inghiottendole nei corridoi, nei comignoli, sui banchi, nei bagni. Sono pensieri sospesi, appesi a mezz’aria a quel filo invisibile, panni stesi ad asciugare come pezze di vita, pellicole di memoria inedita.
Sono stato in ospedale per controlli di routine. Non preoccupatevi, continuerò a rompere le palle ancora per un po’, tranquilli. Qui ho realizzato che ognuno di quei tranci di carne ammassata rappresenta un piccolo museo dell’abbandono. Per i clienti dell’ albergo, il tempo non passa mai. Immagino quanta solitudine provino. Non certo per le visite contingentate, piuttosto per il futuro che non potranno avere più, con un presente solo da gestire sino al termine della corsa. Chissà come si sentono nella consapevolezza che prima o poi dovranno mollare la presa. Ci vuole una grandissima fede per non cedere all’idea di essere stati dimenticati da dio. E li vedi che s’aggrappano al mondo come fossero in grado di abbracciarlo tutt’intero. Che non se ne faranno nulla del nostro “ti sia lieve la terra”. Qui ora. Qui. Forse sono stati pianificati per volare, ignari che il pianeta azzurro per loro è solo un palloncino che li porterà via. Liberi per sempre, dove nulla più ci potrà separare.