E me ne fotto delle mie certezze-fortezze. Ho pagato per la sabbia su cui erano fondate. A volte costruiamo castelli che sono drive-in, aree di confort, dove comodi proiettiamo e pilotiamoil film che desideriamo vedere, con il finale conciliante in superficie, mentre sottocute sviluppa la necrosi.
Vado in barca sì, ma ho imparato che i terremoti servono a ricostruire. Che navigare in acque tranquille spesso ti porta ad affogare e che la terraferma annoia, oltre a ferirti. Che i temporali sono opportunità se attesi e cercati, che i muri d'acqua portano sempre a quell’isola felice su cui devi fermarti e ripartire.Piovono mattoni sulle mie certezze-fortezze e me ne fotto di andare in barca ogni qualvolta il mare s’agita. Si chiama crescere. Prendere il controllo di sè e perderlo. Non puoi prevederti, non puoi calcolarti. Esistono strumenti di navigazione affidabili, ma la probabilità che tu debba solcare a vista è una variabile da considerare prima di partire. Un viaggio lungo.
Vado in barca.
Una vela rettangolare, una struttura primordiale, un albero come maestro, tre file di remi, una prua affilata per sbucciare ogni giorno di vita tramontato sui mari. La quotidiana sfida per averti al mio fianco. Trireme. Arsenale di quiete. (F)Lotta!