Sete. Ho sempre avuto sete. Mai pago, mai sazio. Il terrore del vuoto, quello a perdere, mi ha spinto in maniera compulsiva a corrompere le viscere con un altro bicchiere, un altro ancora, quasi a posticipare a data da definire l’appuntamento con me. Come ad esorcizzare la fine di una festa, perché quando le luci si spengono e cala il sipario, rimani solo ed è troppo doloroso vedere colare dallo specchio quintali di trucco e capire chi sei. Chi o cosa davvero? Oggi, il tempo sembrava ibernato. I miei passi, come in un film, si udivano distinti ma doppiati male. Non pezzi di vetro ciò che calpestavo, ma fili d’erba croccanti. C’era un passaggio a livello con le sbarre sbilenche a contrastare il trapasso, sbattute lì per farti riflettere nell’ infinita attesa di andare oltre. Alla mia sinistra una bottiglia. Abbozzo un sorriso. Quanto tempo sprecato a cercare consensi quando io stesso dovevo con-sentirmi. Capito che tipo di sete? Sete che non seda la paura di sè. Vuoto a perdere senza ritorno. Che poi in fondo non me ne sono andato mai. C’è qualcuno che parte, stavolta resto.