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LUCA GIULIANI

FoToScriTTore Cre.ATTivo

Luca nasce il primo aprile del ‘78 (e non scherzo!).

Non se ne è mai pentito.
Qualche rimorso però  lo conserva gelosamente in piccole scatole di legno simil-matrioska. Da sempre innamorato della poesia a 19 anni sceglie di diventare ragioniere in barba agli indirizzo-studi che a destra e a manca erano concordi ai “voti” da letterato. La musica rappresenta una costante quotidiana, è anche bravino nell’infastidire le corde della sua stratocaster, ma ancora una volta  il mestiere di neo-bancario vince di slancio. Qualche punto in sospeso però Luca ce l’ha.
A Natale 2012 arriva la fotografia. Sotto l’albero trova una plasti-cosa macchina fotografica a pellicola 135.
È stata sua moglie (benedetta se ne pentirà!). Chiama Gianni che in materia ne sa qualcosa e si lascia sedurre. Non sarà più come prima. Shopping compulsivo di innumerevoli fotocamere vintage. Scatti ovunque. Rullini appesi ad asciugare in doccia, base di lancio verso la ricerca spasmodica di quei puntini , gli interrogativi che caratterizzano il suo quotidiano pensiero. E da lì: lettere, note ed immagini rimestate. Dove sta la musica? Nel ritmo delle parole generate da ogni singolo fotogramma. Oggi Luca ama, adora relazionarsi e isolarsi al contempo, ma sopratutto sta facendo pace con tutti i suoi perchè.
Io non sono un musicista, né uno scrittore, tantomeno un fotografo. Non ho studiato per diventare tutto questo, ma sognare, desiderare di esserlo, oh sì, questo sì. Il mio primo amore è stata la chitarra. Appresa da autodidatta con un efficacissimo “chitarristi in 24 ore” prestatomi da Chiara, mia sorella maggiore, popolarissima tra i cori di canto nella Diocesi di Cesena-Sarsina. Poi Morrison mi s’infilò nel cuore come una spina. Fu la miccia che fece esplodere il mio interesse per la poesia e i testi. Avevo 14 anni e per le radio girava acca-ventiquattro  “Hanno ucciso l’uomo ragno” degli 883 (che strano acca scritto senza H), mentre io passeggiavo sui nastri magnetici dei primi album doorsiani sulle note di “No to touch the earth” e “The End”, roba leggera insomma (capirò solo dopo la genialità del buon Pezzali). Avevo bisogno di rivoluzione e mi ascoltavo crescere sentendo la necessità di emozionarmi. Ecco la musica e la poesia, erano la chiave. Ho passato anni in uno studio casalingo di registrazione a vuotare il sacco e con me Nicola, batterista dal nervo secco e il cuore ricco. Nel frattempo mi facevo un mestiere a scuola cercando di mettere in fila i numeri e le teorie del Keynes, senza nulla di fatto poiché le materie umanistiche esercitavano una seduzione costante, insistente sul ventre. La fotografia è arrivata molto più tardi, quasi per gioco, quando Lei mi regalò una fotocamera squisitamente vintage, alimentata a pellicola. Scrivere con la luce. Già. Scrivere di luce. Niente di più soprannaturale e divino. La fotografia è arte piovuta dal cielo, caduta in terra.
Dentro ci vedo tutto: la musica, le parole, la visione. La fotografia genera emozioni che hanno metrica, rima, passione.
 
The Man Who Sold The Word” è stato il mio primo lavoro fotografico dove ho voluto esprimere questi concetti, associando le immagini alle parole. Parla di un piccolo viaggio geografico sviluppato sulla retta che unisce il cuore di Ravenna (TerRavenna) e termina al mare (Ravennamare)….passando per una Ravenna intima rappresentata da quella domestica (Addomesticaravenna). Trovare il titolo è stato assai facile….non me ne voglia David sulla licenza che mi sono preso travisando il significato della sua frase da“ L’uomo che vendette il mondo” in “L’uomo che ha venduto la parola”…. d’altro canto quale miglior esempio ci fa capire il potenziale che può avere l’omissione di una sola lettera. La Elle di Luca. Coincidenze?